Configurazione occupazionale del comparto alberghiero nel turismo leisure in Italia

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Configurazione occupazionale del comparto alberghiero nel turismo leisure in Italia

Il report curato dal CRISP (il centro di ricerca interuniversitario per i servizi di pubblica utilità, network accademico che ha base all’Università di Milano Bicocca), fortemente voluto da TH Resorts e Fondazione per la Sussidiarietà, esamina il comparto viaggi-turismo leisure partendo dai dati: i turisti, italiani e stranieri, ospitati negli esercizi ricettivi in sei anni, sono passati da 104 a 123 milioni (nel 2017). Un aumento che però deve fare i conti con la riduzione del numero medio delle notti per cliente (dalle 3,67 del 2012 alle 3,41 nel 2017), indice di più limitate disponibilità economiche, di abitudini più onnivore o superficiali, della consuetudine alla fretta del mordi&fuggi. Non ci si può esimere, poi, dal confronto con gli altri Paesi-calamita. Se in Italia la crescita di presenze è del 3,5% all’anno (però molto stagionali, marine al 40,9% e montane al 51,9%), la Spagna registra il +4,9, la Grecia il +5,4. Non si tratta solo di scelte casuali, spesso la responsabilità di quelle scelte è la carenza delle offerte. Negli ultimi cinque anni gli esercizi alberghieri hanno perso 394 unità, mentre sono esplosi quelli extra alberghieri (ad esempio ostelli, case per ferie ecc), +57.975, e quelli gestiti imprenditorialmente (camere o case in affitto ecc.), +38.836. Da questo divario deriva che dei 286.667 occupati di settore nel 2017, il 57% ha un contratto a tempo determinato, o part-time o con voucher, e il 7,6% ha un rapporto di lavoro familiare. Tutto questo comporta una sostanzialmente scarsa attenzione e un conseguente basso livello del “capitale umano”, con 96 lavoratori per ogni dirigente (22 occupati/dirigente nel complessivo mercato del lavoro), con il 4% degli addetti senza alcun titolo di studio e il 30% un diploma di primo grado. Risulta anche che se un dipendente senza alcun titolo di studio percepisce uno stipendio di poco inferiore alla media nazionale (-0,7%), i lavoratori con una laurea guadagnano il 20% in meno rispetto alla media italiana.

La marcata stagionalità – sostengono i ricercatori del CRISP – e la presenza di medio-piccole imprese alberghiere (con una media di 24 posti letto a struttura) di certo non contribuiscono alla stabilizzazione degli addetti e alla loro crescita professionale. Se si aggiunge a tutto ciò l’eccezionale costo del lavoro (il 72% in più rispetto alla Grecia, il 20% in più rispetto alla Spagna), con un cuneo fiscale al 42%, si comprendono i limiti entro cui il turismo in Italia oggi si trova a sgomitare. Limiti che si potrebbe tentare di allontanare – si conclude nel report – anche con l’adozione dell’apprendistato di alta formazione e ricerca, quello “di terzo livello”, con vantaggi formativi per i giovani, che potrebbero finalmente sviluppare competenze specifiche in linea con il proprio percorso di studi; vantaggi fiscali per il datore di lavoro, con conseguente riduzione del cuneo; e vantaggi per l’ente formativo convenzionato (ad esempio The Italian Hotel School). Di pari passo, si dovrebbe procedere con nuove politiche turistiche, che favoriscano questa crescita del personale, una maggiore flessibilità per un settore così stagionale, l’accorpamento e lo sviluppo di un tessuto imprenditoriale ricettivo medio-grande, per arrivare ad un comparto complessivamente   competitivo, con personale qualificato, managers capaci, strutture solide e pronte ad affrontare le sfide del turismo moderno.

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